mercoledì 4 novembre 2015

O.T. Viaggio nel Mistero: IL MISTERO DEL BRIGANTINO MARY CELESTE


Il 5 dicembre 1872, fra le isole Azzorre e la costa del Portogallo, la nave inglese Dei Gratia incrociò un brigantino a due alberi che seguiva una rotta erratica. Una volta avvicinatisi alla nave misteriosa, i membri dell’equipaggio si erano resi conto che stava viaggiando soltanto con l’asta di fiocco, girato a babordo, e la sola vela dell’albero di trinchetto, segno evidente che era senza guida. 


Il capitano della Dei Gratia, Morehouse, decise di avvicinarsi alla nave, anche se a distanza di sicurezza, e riuscì a leggerne il nome. Si trattava della Mary Celeste, una nave che il capitano conosceva perché era partita insieme alla sua da New York, diretta al porto di Genova con un carico di alcol puro.
Morehouse inviò due uomini sulla nave per investigare. Appena saliti, il ponte era apparso subito deserto, così come tutto il resto della nave. A bordo non c’era anima viva. Mancava la scialuppa di salvataggio, segno che l’equipaggio aveva deciso di abbandonare la nave. Sotto coperta c’era una grande quantità d’acqua; due vele erano completamente sganciate e quella inferiore dell’albero di trinchetto penzolava appesa solo più da un angolo. Tuttavia la nave non dava segno di poter affondare e quindi non si capiva perché era stata abbandonata. Inoltre l’abitacolo, ovvero il posto dove era conservata la bussola della nave, era saltato. Le cassepanche dei marinai erano intatte, ad indicare la fretta e la furia con cui erano stati costretti a lasciare la nave. Ma nella cabina del capitano gli strumenti e le attrezzature portatili di orientamento erano sparite. L’ultima annotazione sul diario di bordo datava al 25 novembre; quindi la Mary Celeste, viaggiava da nove giorni senza equipaggio e in quel momento era a 700 miglia nord-est rispetto all’ultima postazione nota registrata.
Il capitano Morehouse decise a questo punto di portare nel porto di Gibilterra la Mary Celeste ma una volta arrivati la nave venne immediatamente fermata. Era venerdì 13 dicembre.

Infatti fin dall’inizio la nave era stata sfortunata. In origine era stata registrata con il nome di Amazon e il suo primo capitano era morto nel giro di quarant’otto ore. Nel viaggio inaugurale si era incagliata in uno sbarramento per la pesca lungo la costa del Maine e lo scafo era stato danneggiato. Mentre lo stavano riparando metà della nave era stata investita da un furioso incendio. Qualche tempo dopo, mentre viaggiava lungo lo stretto di Dover, si era scontrata con un brigantino più piccolo che era calato a picco. Questo era accaduto con il terzo capitano. Il quarto aveva inavvertitamente condotto la nave nelle secche attorno a Cape Brenton provocandone l’incagliamento.
A questo punto l’Amazon era stata messa in vendita. Prima di passare a Winchestern, colui che ha fondato la compagnia di navigazione ancora attiva, la nave aveva cambiato tre padroni. Winchestern aveva scoperto che il brigantino aveva alcune travi in avanzato stato di putrefazione, che il fondo era da rifare con la protezione di una pellicola di rama e che la cabina di comando era troppo angusta e doveva essere ampliata. Tutte queste riparazione avevano consentito alla nave di lasciare il porto di Genova con garanzie di sicurezza, provate dal fatto che nave aveva navigato in tutta tranquillità, e senza riportare danni, per l’Atlantico senza nessuna guida.
Gli agenti governativi inglesi a Gibilterra protendevano sia per un ammutinamento che per una sorta di complotto-truffa americano, ipotesi suggerita dal fatto che Morehouse e il capitano della Mary Celeste erano amici e che il giorno prima della partenza delle loro navi avevano festosamente pranzato insieme. Ma nel corso dell’inchiesta era prevalsa l’eventualità dell’ammutinamento poiché la corte aveva osservato alcuni segni d’ascia sulla battagliola, una serie di scrostamenti che indicavano un possibile scontro della nave contro gli scogli e soprattutto una spada macchiata di sangue nella cabina del comandante. Quindi l’equipaggio, ubriaco, avrebbe ucciso il comandante e la sua famiglia e poi sarebbe fuggito sulla scialuppa di salvataggio abbandonando la nave. Gli americani, però, sentendosi offesi nei riguardi della propria marina mercantile rigettarono l’ipotesi. Inoltre il comandante del brigantino aveva un carattere accondiscendente e non avrebbe mai provocato una reazione di ammutinamento. Inoltre era noto che sulle sue navi non veniva mai imbarcato alcol. Nel caso della Mary Celeste l’alcol era puro, quindi imbevibile, e inoltre era la merce di trasporto. E poi, se l’equipaggio si era davvero ammutinato, come ai le cassapanche dei marinai erano rimaste intatte, con ancora dentro gli effetti personali come le fotografie, i rasoi e gli stivali gommati?
L’ammiraglio britannico si trovò a dover considerare la seconda ipotesi, quella che prevedeva che i due capitani si fossero messi d’accordo per perpetuare una truffa ai danni dell’assicurazione; tuttavia non si riusciva a capire il perché dell’operazione dal momento che il capitano del brigantino ne era anche comproprietario e ciò che avrebbe ricavato come quota a lui spettante del rimborso assicurativo sarebbe stato minore rispetto a quanto avrebbe incassato rivendendo le sue quote di proprietà in condizioni normali.
Insomma, la corte non riuscì a giungere a nessun risultato. Perché i marinai della Mary Celeste avessero lasciato la nave restò un mistero. Ai proprietari della Dei Gratia venne riconosciuto come ricompensa un quinto del valore del brigantino recuperato e del carico che trasportava. Poi la nave era stata riconsegnata al proprietario, a New York, che aveva subito provveduto a venderla.
Nei successivi undici anni la nave cambiò molti proprietari, ma a nessuno portò mai profitto, tant’è che ormai i marinai la consideravano un porta sfortuna.. il suo ultimo proprietario, il capitano Parker, dopo che il brigantino si era incagliato in una scogliera delle Indie occidentali, aveva fatto richiesta di risarcimento assicurativo; ma le compagnie avevano fiutato il dolo e lo avevano trascinato in tribunale. All’epoca inscenare imbrogli del genere costava l’impiccagione, ma il giudice, memore delle tante disgrazie accorse alla nave, si mostrò magnanimo e riuscì a far scagionare gli imputati.. negli otto mesi successivi il capitano Parker era morto, uno dei suoi soci era impazzito e un altro si era suicidato. La stessa nave era rimasta abbandonata sulla scogliera dove era andata ad incagliarsi.

Nei dieci anni successivi, non avendo trovato altre prove, la storia passò nel dimenticatoio finchè nel 1882 lo scrittore Arthur Conan Doyle iniziò la sua carriera scrivendo un racconto proprio riguardante la Mary Celeste e che iniziava così: “Nel mese di dicembre del 1873, la nave inglese Dei Gratia faceva il suo ingresso nel porto di Gibilterra, trascinandosi al seguito il brigantino Marie Celeste”.
Per essere così breve, la frase conteneva un bel numero di imprecisioni. L’anno era il 1872, il brigantino non era stato trainato ma aveva raggiunto il porto con le sue vele e la nave veniva chiamata Marie e non Mary. Ciò malgrado, quando nel 1884 il racconto, intitolato La deposizione di J.Habakuk Jephson, venne pubblicato il successo fu enorme e molti lettori presero la storia come oro colato, convincendosi che il brigantino fosse catturato da una sorta di Potere Nero.
Il racconto di Doyle fu il segnale di un nuovo risveglio verso il mistero, tanto che negli anni seguenti vennero a galla numerose illazioni riguardanti gli ultimi giorni dell’equipaggio della nave. Le storie andavano dall’ammutinamento classico al rapimento alieno, dai vuoti temporali ai calamari giganti che sterminavano tutti.

In realtà, esaminando i soli dati a disposizione, si potrebbe arrivare a una conclusione logica. Chi ha confuso ampiamente le idee fu proprio Doyle quando affermò che la nave venne ritrovata intatta, completa delle scialuppe di salvataggio, cosa non vera. L'unica cosa certa è che l'equipaggio si allontanò in fretta e furia, infatti la ruota di propulsione non era bloccata. Ma allora perchè i marinai scapparono così velocemente?
Il fratello del capitano della Mary Celeste rivelò che l'ultima annotazione fatta sul diario di bordo parlava di una notte molto tempestosa. Secondo lui la nave si era trovata in bonaccia nei pressi delle Azzorre dove aveva cominciato a muoversi verso le pericolose scogliere dell'isola di Santa Maria. Le evidenti graffiature e screpolature riscontrate sullo scavo erano state riportate quando la nave aveva urtato qualche scoglio sommerso, cosa che aveva indotto l'equipaggio a credere di stare per affondare. Inoltre, durante il violento uragano la nave aveva imbarcato acqua, al punto di dare l'impressione di non essere del tutto affidabile per proseguire una navigazione tranquilla. Ma questa teoria non è da considerarsi valida perchè se la nave si fosse scontrata con uno scoglio, la scialuppa di salvataggio non sarebbe andata lontano, ma avrebbe tentato di approdare sull'isola di Santa Maria. Poichè non venne rintracciato nessun resto e nessun sopravvissuto, la cosa sembra improbabile.
Un'altra ipotesi è quella della tromba marina, che avrebbe potuto far saltare i boccaporti e consentire alle grandi ondate di invadere completamente la stiva della nave e le pompe di trazione. Imbarcati un paio di metri d'acqua, la nave avrebbe dato segni di non farcela, e l'equipaggio sarebbe scappato.
Ma, anche in questo caso, la teoria non regge perchè, a parte i due boccaporti trovati scardinati, in tutte le altre parti la nave era stata ritrovata intatta. Se la tromba marina fosse stata così forte e potente tanto da spaventare i marinai, anche la struttura della nave ne avrebbe risentito.
Resta comunque un altro mistero. Ammesso che l'equipaggio avesse trovato salvezza nella lancia di salvataggio, perchè non recuperare la nave, una volta verificato che in realtà non stava correndo nessun pericolo di affondare?
Una sola spiegazione sembra dare una risoluzione certa a questa intricata vicenda.
Il capitano del brigantino forse trasportava alcol puro per la prima volta. I violenti temporali dell'ultima notte avevano sbatacchiato il carico, provocando la formazione di vapori all'interno delle grandi botti con un aumento della pressione interna tale da far saltare il coperchio di alcune di esse. L'esplosione, sebbene innocua, avrebbe scardinato i boccaporti e scaraventati sul ponte.
Convinto che la nave sarebbe esplosa in poco tempo, il capitano, in questo caso inesperto, avrebbe dato l'ordine di evacuarla in fretta e furia, calando in mare la scialuppa di salvataggio. Nella fretta di scappare, però, il capitano si sarebbe dimenticato di collegare con una fune la scialuppa alla nave, in modo da poter tenerla sotto controllo a distanza di sicurezza. Nel momento in cui la lancia era stata calata in acqua, secondo il diario di bordo, il mare doveva essere calmo. Ma si può pensare che da lì a poco il ritorno di un forte vento avesse spinto la nave lontano, mentre l'equipaggio spaventato e scosso, stava invano tentando di remare per recuperarla. 
Il resto della storia è ovviamente drammatico: il capitano, la sua famiglia e i marinai non riuscirono mai a raggiungere la nave e morirono in mare per il freddo e la fame.


Colin & Damon Wilson, Il grande libro dei misteri irrisolti, Roma, 2000

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